Occupazione record, ma contratti e stipendi fermi

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L’Italia sta registrando un record di occupazione. I dati Istat del mercato del lavoro sono positivi con un tasso di occupati che sale al 61,5%, ovvero 23 milioni e 590 mila persone. Un livello mai raggiunto prima d’ora e che riguarda il periodo dopo la pandemia. Se da una parte diminuiscono le persone in cerca di lavoro (-3,2%) e il tasso di disoccupazione totale scende di 0,2 punti raggiungendo il 7,3% e quello giovanile il 22% (-0,1 punti), le problematiche continuano a riguardare gli stipendi. Sempre troppo bassi, infatti, gli stipendi non sono adeguati al costo della vita in continuo rialzo e alla tipologia di contratti stipulati. Temi che trattiamo, in questo approfondimento con William Griffini, CEO di Carter & Benson.

Di fronte ad un aumento del tasso di occupazione ci troviamo davanti ad un salario che non varia e a contratti non adeguati ai temi che viviamo…

In Italia, quest’anno, siamo riusciti a raggiungere una crescita dell’occupazione ai massimi storici che non può che farmi piacere. Dopo periodi difficili, frenetici e di grandi cambiamenti, stiamo beneficiando tutti di un momento positivo.

È chiaro però che se da una parte questo dato ci fa ben sperare, l’altra faccia della medaglia ci vede davanti a dei livelli salariali che sono vicini all’inaccettabile. Una problematica figlia del cuneo fiscale che, nella nostra nazione arriva al 45,9%, uno dei più alti tra i Paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che raccoglie i 26 Stati più sviluppati con un’economia di mercato).

Un’impresa oggi non è capace di compensare il grande divario che c’è tra le tasse pagate da un lavoratore medio e il costo del lavoro e questo non può e non deve essere solo un problema dell’organizzazione.

La questione dei salari, sempre troppo bassi, è strettamente legata a questa problematica. Ogni volta che si prova a dare un aumento ad un collaboratore, di fatto si dà un aumento allo Stato.

Un cuneo fiscale elevato disincentiva l’assunzione di nuovi dipendenti e contemporaneamente, impattando troppo sugli stipendi riduce il potere di acquisto dei lavoratori ed è indubbio che questa situazione incida significativamente da una parte sulla competitività delle imprese e dall’altra sulla motivazione dei lavoratori.

La defiscalizzazione è l’unico percorso possibile e forse oggi, iniziano ad arrivare timidi messaggi dal Governo che, nel Documento di economia e finanza (DEF) ha destinato circa 4 miliardi di euro al taglio del cuneo fiscale.

E i contratti di lavoro?

Il periodo pandemico ha creato situazioni lavorative differenti e messo le persone nella condizione di rivalutare la loro vita, riordinando le priorità: figli, famiglia, lavoro, riposo. A maggior ragione i contratti di lavoro dovrebbero prendere in considerazione situazioni di collaborazioni ibride considerando gli aspetti meritocratici e qualitativi, a prescindere dagli aspetti temporali e di location.

I contratti di lavoro attuali si basano sulle ore lavorate e questo non è solo un meccanismo antico che va superato, ma anche un limite, perché non permette di mettere al centro l’individuo. In questo senso l’imprenditore può fare molto per contribuire a cambiare la cultura del lavoro e renderla più flessibile e vicina ai bisogni delle persone.

Ogni lavoratore, infatti, dovrebbe essere stipendiato per la professionalità che mette in campo, per i risultati che raggiunge e per la qualità con cui svolge la propria mansione, non secondo il tempo che impiega per ottenere un determinato obiettivo.

Salario minimo si o no?

Sempre i dati Ocse ci dicono che in Italia i salari reali nel primo semestre del 2023 sono scesi del 7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente a causa delle problematiche inflattive.

Fatta questa premessa, penso che il salario debba garantire a una persona di vivere decorosamente e far fronte agli impegni della famiglia. Quindi sia prima di tutto indispensabile occuparsi di invertire una tendenza che impoverisce per primi i lavoratori e più in generale anche l’intera economia italiana.