Cambio di mindset o change management?

Cambio di mindset o change management?

Viviamo un mercato in continua evoluzione, nel quale gli equilibri socio economici sono profondamente mutati. Una realtà  nella quale, ogni giorno, le imprese hanno a che fare con cambiamenti che impattano sulla filiera produttiva, piuttosto che sugli assetti organizzativi e debbono essere in grado di cogliere le migliori opportunità e mantenere alti posizionamento e competitività . Essere pronti alle trasformazioni, quindi, diventa una priorità per le aziende che quotidianamente si ritrovano costrette a rivedere le strategie. Cambio di mindset o change management? Lo chiediamo a Giovanni Carbone e Chiara Arosio, rispettivamente Senior Partner e Partner di Carter & Benson.

Giovanni Carbone – Smart working , gender gap, diversity & inclusion, sostenibilità  hanno imposto un differente assetto, una nuova gestione dei gruppi di lavoro in presenza come da remoto e lo sviluppo di una leadership che deve essere comunque efficace anche se, in molti casi, virtuale. Ma promuovere il cambiamento in questo contesto non significa solo fornire strumenti e tecnologie innovative ai propri collaboratori (piani di comunicazione, percorsi formativi, analisi dell’avanzamento delle attività e del risultato del progetto di change management), il discorso è più complesso. Infatti, mentre fino ad oggi le aziende si avvalevano di teorie e modelli organizzativi che progressivamente diventavano dei paradigmi sui quali basare la propria gestione del cambiamento, ora il mondo è così complicato e le dinamiche sono così veloci che non esiste più un modello vincente in assoluto, ma ogni azienda deve essere pronta a riconfigurarsi nella quotidianità attuando una sua propria strategia. Non esistono best o worst practices, in realtà sono le esigenze e i fabbisogni legati al proprio specifico contesto e alle proprie persone  a “comandare i giochi”.  E sono sempre e comunque le persone a fare la differenza! Per questo motivo serve autoconsapevolezza e servono persone capaci di interagire e di stare in quell’organizzazione.

Chiara Arosio – È ormai assodato che chi è nel mercato del lavoro, a qualsiasi livello, debba abituarsi ai cambiamenti, ad evolvere, a modificare il proprio approccio e il modo di affrontare la propria attività.

Le competenze tecniche contano, ma una job description, oggi, è una commodity e non sarà mai una discriminante. Al contrario, invece, al fine del raggiungimento degli obiettivi di business, la capacità di integrarsi con l’humus aziendale e quella di stabilire delle buone relazioni di cooperazione tra i componenti dell’organizzazione, diventano asset strategici. Al di là del fatto che in mercati in continua evoluzione sia necessario aggiornare le proprie hard skill, non dobbiamo dimenticare che la quotidianità lavorativa e anche il privato di ogni persona sono fatti di esperienze emotive ed è quindi l’intelligenza emotiva che diventa elemento decisivo nell’aiutare a capire come interagire.

È fondamentale spostare l’attenzione su un piano differente, lavorare  per comprendere a fondo le emozioni, sia le proprie sia quelle altrui e tradurre il tutto in comportamenti e strategie di leadership per far sentire i collaboratori più motivati e apprezzati. Un approccio diverso che crea un substrato di benessere nel quale ognuno è incentivato a dare il suo meglio, una condizione che favorisce un ambiente di lavoro più sereno e felice e quindi anche più proattivo. Mettere in discussione il proprio modo di essere, non è un sintomo di debolezza, ma di autoconsapevolezza, quella marcia in più che può fare davvero la differenza.

Giovanni Carbone – In una situazione come quella attuale, parlare di change management sembra quasi obsoleto, piuttosto è fondamentale che la cultura aziendale pur rimanendo fedele a sé stessa sia al contempo più agile, che adotti nuove metodologie di ingaggio delle persone, che permetta lo sviluppo di modelli di leadership alternativi tra loro per incoraggiare vicinanza, empatia e collaborazione e che ripensi agli spazi di lavoro per renderli più accoglienti e abbattere quelle barriere e quelle resistenze che potrebbero ostacolare il cambio di mindset. La tecnologia è un elemento fondamentale di questa transizione ma deve essere utilizzata meglio, non solo per rendere i processi più chiari e immediati, ma perché agevoli veramente la condivisione.

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