Donne al vertice: il futuro del mondo del lavoro

Investire sulle donne e aumentare il numero della presenza femminile nei ruoli apicali, significa investire oggi per costruire il futuro, ma troppi stereotipi condizionano la crescita e il riconoscimento del valore delle donne nel mondo del lavoro e certamente la pandemia non ha fatto altro che acuirne le problematiche. Oggi il gender gap è un tema urgente sul quale istituzioni e imprese stanno interrogandosi per trovare soluzioni che rendano più sostenibile, inclusivo ed equo il lavoro. Simona Cremascoli, partner di Carter & Benson e IMD Board Member, che da sempre si occupa di head hunting, ci fornisce una visione oggettiva della situazione anche a livello internazionale.

Parto da alcuni dati che sono stati oggetto di approfondimenti da parte del B20, il più autorevole degli Engagement Group istituiti dal G20.  Da questi dati è emerso che durante la prima ondata pandemica, l’occupazione femminile si è ridotta di 2,2 milioni in tutta l’Unione Europea e le donne hanno visto i loro guadagni diminuire di quasi due terzi più rapidamente degli uomini, con un calo medio del 16,5%.  Alla luce di questa situazione, le raccomandazioni di policy B20 relativamente alla Women Empowerment, sono focalizzate sul riportare un numero crescente di donne nel mercato del lavoro, puntando all’abbattimento delle barriere culturali nell’accesso alla formazione STEM per le donne e alla necessità di raggiungere la parità di genere nelle posizioni apicali.

Secondo le rilevazioni INPS, le posizioni manageriali ricoperte dalle donne in Italia sono pari al 28%. Una percentuale che si riduce al 18% se si considerano le posizioni lavorative regolamentate da un contratto da dirigente.* La situazione migliora tra i quadri, dove nella fascia sopra i 35 anni le donne sono il 30%, e sotto a questa fascia di età salgono al 37%.**

Il report “Women in business 2021” di Grant Thornton (una ricerca a livello globale su circa 5.000 imprese del mid-market in 29 nazioni) conferma per l’Italia i dati INPS. Questo relega il nostro Paese in posizione inferiore rispetto alla media mondiale del 31% (comprensiva dei Paesi in via di sviluppo), dato quest’ultimo sempre e comunque da migliorare.

La leadership delle donne, è quindi un tema centrale. 

Le aziende necessitano di competenze. Per la nostra esperienza di ricerca di posizioni executive, nella maggior parte dei casi non esistono preclusioni di sorta in relazione al genere del talento ricercato, anzi alle volte è preferita una figura femminile che, per caratteristiche naturali, è più pragmatica e orientata al problem solving. Il limite nell’inserimento di una donna al vertice di un’impresa sta nella difficoltà di reperire la risorsa stessa, in quanto il bacino di candidati executive è soprattutto maschile.

Lo sforzo, pertanto, deve essere quello di far crescere in azienda  donne che possano assurgere a posizioni apicali, riconoscendone competenze e potenziale.  Un’azione, questa, che implica un impegno sia da parte dell’impresa che delle istituzioni, poiché, allo stato attuale, non ci sono ancora tutti gli strumenti e il quadro organizzativo che possa compensare i pregiudizi sociali e culturali correlati al ruolo della donna nel nostro paese, supporti che una donna dovrebbe  avere.

Non basta parlare di smart working, bisogna costruire un sistema in grado di dare reale sostegno alla genitorialità e programmi per aiutare i dipendenti nei momenti di difficoltà di tipo personale o familiare, esterni all’azienda. Solo così si potrà arrivare ad un contesto in cui ad esempio i pregiudizi sociali non rappresentino più una barriera in cui i ritmi di lavoro siano caratterizzati da flessibilità e orientamento al risultato.

Il retaggio culturale è un’altra fondamentale barriera da superare.  Molto spesso, infatti, ad eccezione dell’area marketing, i ruoli apicali sono appannaggio degli uomini; penso per esempio agli ambiti industriali, alla ricerca e sviluppo, al commerciale. La spinta, per colmare questo divario, deve quindi arrivare dal basso. Bisogna agire su due fronti: da una parte incentivare le giovani generazioni di donne a crescere  incoraggiandole a una formazione più scientifica, oggi definita con l’acronimo  STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), ovvero quell’insieme di discipline che abilitano a competenze sempre più richieste da un mercato del lavoro che si  sta rivoluzionando; dall’ altra lavorare sulla scienza e la cultura organizzativa, che aiuti a rimuovere alcuni comuni pregiudizi inconsci applicati nei percorsi di sviluppo e selezione.

È innegabile il legame che esiste tra successo e fiducia in se stessi

Uno dei problemi che talvolta rileviamo e sui quali anche donne ad alto potenziale si trovano a dover fare i conti è la self-confidence. Questo atteggiamento mentale può essere inficiato da retaggi culturali dati dell’ambiente nel quale la persona è cresciuta oppure da aspetti caratteriali. Comunque la carenza o mancanza di self-confidence può creare ostacoli nella crescita e nell’affermazione della persona all’interno di un’azienda ed è quindi un’attitudine da sviluppare, rafforzare e farne una vera e propria  long run strategy personale. A ciò, le organizzazioni potrebbero anche contribuire investendo in formazione specifica dedicata alle donne, favorendo strumenti formali quali il coaching e il mentoring ed informali quali il networking.

 

* studio realizzato dall’Osservatorio 4.manager voluto da Confindustria e Federmanager https://drive.google.com/file/d/1IxUPD8jsTnkHm_ywr5C3lAz5PHwIGkpO/view

**Rapporto Donne Manageritalia 2020

 

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foto di copertina: credits freepik